Svimez: il lockdown costa 47 miliardi al mese: 37 al Centro-Nord, 10 al Sud
Il lockdown costera’ al Paese 47 miliardi al mese, 37 al Centro-Nord, 10 al Sud. Considerando una ripresa delle attivita’ nella seconda parte dell’anno, il Pil nel 2020 si ridurrebbe del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del -7,9% nel Mezzogiorno.
E’ quanto emerge dal report SVIMEZ sull’impatto economico e sociale del Coronavirus nel Mezzogiorno e nel centro-nord. SVIMEZ spiega che l’emergenza sanitaria colpisce piu’ il Nord, ma gli impatti sociali ed economici ‘uniscono’ il Paese.
Il Sud rischia di accusare una maggiore debolezza rispetto al Centro-Nord nella fase della ripresa, perche’ sconta inevitabilmente la precedente lunga crisi, prima recessiva, poi di sostanziale stagnazione, dalla quale non e’ mai riuscito a uscire del tutto.
Ecco perche’, spiega SVIMEZ, Occorre completare il pacchetto di interventi per compensare gli effetti della crisi sui soggetti piu’ deboli, lavoratori non tutelati, famiglie a rischio poverta’ e micro imprese.
La straordinarieta’ della dimensione del lockdown si legge nella quota di impianti “fermi”: la SVIMEZ ne stima piu’ di 5 su 10 in Italia.
Nella media nazionale, senza considerare i settori dell’Agricoltura, le Attivita’ finanziarie e assicurative e la Pubblica Amministrazione, crollano del 50% fatturato, valore aggiunto e occupazione.
Il blocco colpisce duramente, sia pure con diversa intensita’, indistintamente l’industria, le costruzioni, i servizi, il commercio.
A livello territoriale, sono piu’ interessate le regioni del Nord soprattutto in termini di valore aggiunto (49,1%, circa 6 punti percentuali in piu’ rispetto al Centro e al Mezzogiorno).
In termini di occupati interessati la forbice si annulla tra Nord e Sud: 53,3% nel Nord, 51,1% al Centro e 53,2% nel Mezzogiorno.
In termini di unita’ locali, le differenze territoriali si ribaltano, segno di una maggiore parcellizzazione del tessuto produttivo nel Mezzogiorno dove le unita’ locali interessate dal lockdown raggiungono il 59,2% a fronte del 56,7 e del 57,2% rispettivamente nel Centro e nel Nord.
La SVIMEZ stima che un mese di lockdown “costa” 47 miliardi di euro (il 3,1% del Pil italiano), 37 dei quali “persi” al Nord, 10 nel Mezzogiorno. Si tratta di 788 euro pro capite al mese nella media italiana, 951 euro al Centro-Nord contro i 473 al Sud.
L’IMPATTO DEL LOCKDOWN SULL’OCCUPAZIONE: AUTONOMI E PARTITE IVA A RISCHIO –
Se si analizza l’intero sistema economico, tenendo conto anche del sommerso, sono interessati dal lockdown il 34,3% degli occupati dipendenti e il 41,5% degli indipendenti.
Al Nord l’impatto sull’occupazione dipendente risulta piu’ intenso che nel Mezzogiorno (36,7% contro il 31,4%) per l’effetto della concentrazione territoriale di aziende di maggiore dimensione e solidita’.
La struttura piu’ fragile e parcellizzata dell’occupazione meridionale si e’ tradotta in un lockdown a maggiore impatto sugli occupati indipendenti (42,7% rispetto al 41,3% del Centro e del Nord).
Sono “fermi” circa 2,5 milioni di lavoratori indipendenti interessati: oltre 1,2 milioni al Nord, oltre 500 mila al Centro, quasi 800 mila nel Mezzogiorno.
Si tratta in larga parte di autonomi e partite iva: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord, oltre 400 mila al Centro e quasi 700 mila nel Mezzogiorno.
Le perdite di fatturato e reddito lordo operativo di autonomi e partite iva sono piuttosto uniformi a livello territoriale.
La perdita complessiva di fatturato e’ di oltre 25,2 miliardi in Italia, cosi’ distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord, 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno.
Una distribuzione territoriale simile si osserva per le perdite di reddito operativo: circa 4,2 miliardi in Italia, di cui 2,1 al Nord, quasi 900 milioni circa al Centro e 1,2 milioni nel Mezzogiorno.
La perdita di fatturato per mese di inattivita’ ammonta a 12 mila euro per autonomo o partita iva, con una perdita di reddito 3 lordo di circa 2 mila euro, 1900 e 1800 per mese di lockdown rispettivamente nelle tre macroaree.
La distribuzione territoriale, al netto dei consumi collettivi (nei quali e’ ricompresa la spesa sanitaria), prevede una distribuzione, rispetto alla popolazione residente nelle due ripartizioni, piu’ favorevole al Centro-Nord, come e’ logico data la diversa intensita’ assunta dall’epidemia nelle diverse aree.
Il “cura Italia” sviluppa un intervento essenzialmente di maggior spesa corrente pari a 1,2 punti di Pil, meno della meta’ della stima SVIMEZ dell’impatto di un mese di lockdown in termini di perdita di Pil.
Il provvedimento esplica maggiori effetti al Sud in rapporto al Pil (1,4% contro l’1,2% nel Centro-Nord), mentre in termini pro capite si concentra maggiormente al Centro-Nord (372 euro pro capite contro i 251 nel Mezzogiorno).
Il Centro-Nord ne risulta “compensato” per il 40% della perdita subita, il Sud per il 50%.
La maggiore fragilita’ e precarieta’ del mercato del lavoro meridionale rende piu’ difficile assicurare una tutela a tutti i lavoratori, precari, temporanei, intermittenti o in nero, con impatti rilevanti sulla tenuta sociale dell’area.
Il decreto cura Italia ha esteso gli ammortizzatori sociali da una platea di circa 10 milioni di dipendenti privati a 14,7 milioni.
Rimangono privi di tutela circa 1,8 lavoratori privati dipendenti, di cui 800 mila lavoratori domestici (200 mila al Sud e 600 mila nel Centro-Nord) e circa 1 milione di lavoratori a termine, che pur avendo lavorato in passato non erano occupati il 23 febbraio (350 mila al Sud e 650 mila nel Nord).
Si tratta di una platea cui occorre dare risposta con uno strumento universale di tutela dalla disoccupazione, ma che non debbono rientrare nell’area assistenziale del Reddito di Cittadinanza.
Infine, va considerato che, oltre a circa due milioni di lavoratori irregolari (1,2 milioni al Nord e 800 mila nel Mezzogiorno) e’ possibile stimare circa 800 mila disoccupati in cerca di prima occupazione che per effetto della crisi presumibilmente non potranno accedere al mercato del lavoro nei prossimi mesi, concentrati prevalentemente nel Sud (500 mila a fronte di 300 mila nel Centro-Nord).
La compensazione statale di 600 euro prevista dal “Cura Italia” per i lavoratori autonomi copre “solo” il 30% della perdita di reddito lordo mensile di 2 mila euro in media nazionale stimata dalla SVIMEZ.
La SVIMEZ stima un calo del Pil del -8,4% per l’Italia, del -8,5% al Centro-Nord e del – 7,9% nel Mezzogiorno. Si tratta di una previsione che considera il solo impatto del “cura Italia”.
Ulteriori interventi espansivi potrebbero attenuare la dinamica recessiva. Il profilo trimestrale 2020 evidenzia un impatto piu’ rilevante nel primo semestre nelle regioni del Centro-Nord epicentro della crisi sanitaria.
Il rimbalzo positivo, invece, che ci si attende con il venir meno del lockdown appare piu’ intenso nelle regioni del Centro- Nord.
Il Mezzogiorno incontra lo shock in una fase gia’ tendenzialmente recessiva, prima ancora di aver recuperato i livelli pre-crisi, ancora inferiore di 15 punti percentuali rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 7).
IL RISCHIO DI DEFAULT È MAGGIORE PER LE MEDIE E GRANDI IMPRESE DEL MEZZOGIORNO – I tempi incerti del lockdown e l’incertezza che investe tempi e modalita’ delle riaperture minano le prospettive di tenuta della capacita’ produttiva.
I dati territoriali sul blocco delle attivita’ economiche delineano un quadro assai piu’ problematico dell’ultima crisi.
Il blocco improvviso e inatteso coglie impreparate le molte imprese meridionali che non hanno ancora completato il percorso di rientro dallo stato di difficolta’ causato dall’ultima crisi.
Rispetto alla grande crisi, il processo di selezione, allora dispiegatosi lungo un arco temporale ampio, oggi e’ anticipato all’inizio alla crisi con un’interruzione improvvisa che ha posto immediatamente al policy maker l’urgenza di intervenire a sostegno della liquidita’ delle imprese, di ogni dimensione.
Un’urgenza che si e’ tradotta nel d.l. liquidita’ approvato nel Consiglio dei Ministri del 7 aprile.
Sulla base dei dati di bilancio disponibili per un campione di imprese con fatturato superiore agli 800.000 euro, le evidenze su grado di indebitamento, redditivita’ operativa e costo dell’indebitamento portano a stimare una probabilita’ di uscita dal mercato delle imprese meridionali 4 volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord.